Che tristezza se l’università non è più un luogo di libertà

18 Gen 2025 | Politica

Quasi mille anni fa, in pieno Medioevo, intorno alla luminosa figura del giurista Irnerio, si è costituita la prima esperienza di università. Con al centro il grande valore della libertà. Un luogo dove giovani provenienti da ogni angolo d’Europa hanno potuto intraprendere, in forma comunitaria, il cammino della ricerca della verità, nella conoscenza delle scienze e delle arti del loro tempo. Per la prima volta, l’istruzione superiore ha fondato la propria autorevolezza sull’autonomia da altri poteri, divenendo accessibile non solo ai nobili o agli ecclesiastici ma a tutto il popolo. Dopo Bologna, fu la volta di Oxford, Parigi, Salamanca, Padova e molti altri atenei che in Italia e nel mondo hanno animato il dibattito culturale lungo i secoli.

Cultura e politica sono legate. La politica è frutto della cultura, è una scienza derivata, essendo radicata quantomeno nella filosofia e nella storia. Per tale motivo, soprattutto nella modernità, la politica ha fatto naturalmente irruzione nel perimetro universitario, coinvolgendo intere generazioni nel confronto con le grandi questioni sociali. Molti leader di ieri e di oggi hanno compiuto i primi passi politici a scuola o in uni- versità, proprio negli anni in cui le grandi domande sulla vita iniziano a bruciare e ci si interroga sul proprio ruolo nel mondo. La politica è stata per molti il modo per dare forma a ideali per cui spendere un’esistenza, per altri l’occasione di sentirsi parte di una comunità di coetanei con i quali condividere un credo, per altri ancora la passione per una visione che potesse fare la Storia. È accaduto così anche per me.

È pertanto assai triste vedere come oggi le università, in molti casi, non siano più luoghi di libertà ma di intolleranza. Negli States la woke culture si è letteralmente impadronita di ogni ambito di ricerca, insegnamento e di- battito. Fioccano le epurazioni dei docenti non allineati e l’intimidazione verso gli studenti che amano usare la

propria testa. Come se non bastasse, i campus a stelle e strisce si sono trasformati, soprattutto nell’ultimo anno, in veri e propri campi di battaglia con un filo diretto con Gaza. Migliaia sono stati gli arresti dei manifestanti filo palestinesi che hanno messo a ferro e fuoco le aule di lezione.

Ma anche in Italia si respira un’aria pesante, dove il moltiplicarsi degli episodi di violenza tra i chiostri medioevali o rinascimentali delle nostre più prestigiose università costituisce un campanello d’allarme. L’ultimo in or- dine di tempo riguarda l’Università Statale di Milano. I collettivi studenteschi di sinistra hanno impedito lo svolgimento di un convegno promosso dalla lista Obiettivo studenti. Bestemmie, un uomo buttato a terra, minacce verbali e fisiche che hanno calpestato la libertà dei 300 studenti che volevano confrontarsi sul tema dell’accoglienza della vita nascente. Prima c’è stata La Sapienza di Roma, teatro di una aggressione ai danni di studenti di destra durante le elezioni studentesche, e l’Università di Torino che ha visto intere aule occupate da antagonisti che, inneggiando alla liberazione della Palestina, hanno impedito il regolare svolgimento delle lezioni.

 

L’indispensabile presenza dell’altro

La mente inevitabilmente torna a un’epo- ca buia della nostra Repubblica, a quegli anni Settanta e Ottanta nei quali le università sono state il brodo di cultura per movimenti eversivi. Spero che quel tempo non torni ma registro l’assordante silenzio del Partito democratico. An- cora una volta, la classe dirigente della sinistra politica non riesce a prendersi la responsabilità di governare i processi deviati all’interno della propria area. Non una condanna, non un distinguo, non una riflessione sulla natura di questi fenomeni. Non credo che la battaglia politica debba rimanere fuori dalle mura universitarie (anzi!), ma non può tradire lo spirito profondo dell’università.

È possibile studiare, dialogare, fare ricerca, supportare o contestare una tesi se e solo se si riconosce un’unità che viene prima, che rende indispensabile la presenza dell’altro perché possa scoprire un briciolo in più del vero e del giusto. Altrimenti prevale l’ideologia che è l’esatto opposto di quanto mosse Irnerio e i suoi studenti, sotto un portico di Bologna mille anni fa.