Con un welfare così o si cambia o si muore

25 Mar 2025 | Politica

Chi non si è mai chiesto quando potrà andare in pensione o se potrà essere ancora curato gratuitamente al Pronto Soccorso? Sono domande che viviamo tutti con una certa ansia, perché ci rendiamo conto che il nostro sistema economico e sociale sta attraversando una fase di profonda crisi e il nostro futuro potrebbe non essere migliore del presente.

Dal Dopoguerra ad oggi, l’Occidente ha prosperato grazie a un sistema economico basato sulla crescita demografica e sul libero scambio. Questo modello, già scosso dalla doppia crisi finanziaria del 2008 e 2011, è stato stravolto dagli eventi più recenti, a partire dalle due guerre che interessano il nostro quadrante. Al tempo stesso, il nostro sistema di protezione sociale è sempre più fragile. Il welfare nasce con il Rapporto Beveridge del 1942, che delineava un modello universale per combattere povertà, malattie e disoccupazione. Oggi, però, la sua sostenibilità è in discussione. Il debito pubblico dell’eurozona è esploso fino a toccare l’80 per cento del Pil e i bilanci statali nazionali sono sempre più incapaci di proteggere quel ceto medio che rappresenta l’ossatura delle nostre società. Emerge un interrogativo su quale debba essere il ruolo dello Stato, che con il Covid è tornato ad essere “forte” ma continua a usare la spesa pubblica come unico strumento di intervento. In questo l’Unione Europea potrebbe fare molto, aggregando e garantendo il debito pubblico a livello comunitario.

 

Sussidiarietà, non statalismo

Credo che sia il tempo di scelte coraggio- se. Partiamo dall’obiettivo principale: tornare a crescere. Nel 1995 il Pil pro capite italiano era di circa 36 mila dollari, appena 4 mila in meno rispetto agli Usa. Si ipotizzava persino un sorpasso europeo sugli Stati Uniti, ma nel 2023 il Pil pro capite americano ha raggiunto i 65 mila dollari, superando quello italiano di 22 mila. Il primo fattore di crescita economica resta la crescita demo- grafica. La prima risorsa per crescere sono la persona e la sua capacità creati- va. Se nel 2008 in Italia nascevano 576 mila bambini, nel 2023 sono stati solo 379 mila: mancano all’appello 200 mila nuovi nati all’anno. Invertire questo trend è essenziale anche per garantire la sostenibilità del nostro sistema pre- videnziale, e sarebbe illusorio credere di poter colmare il gap demografico innanzitutto grazie ai migranti.

Lo Stato deve quindi essere abilitatore della società, perché è nella società che si trovano quelle risorse morali, intellettuali ed economiche che possono farci tornare a crescere. Diffido delle tendenze neo-stataliste o neo-centraliste: la cura vincente rimane la sussidiarietà. Nono- stante le difficoltà, alcuni sistemi regionali dimostrano infatti che efficienza e

sostenibilità possono coesistere. La Lombardia e l’Emilia-Romagna sono esempi virtuosi, attirando pazienti da tutta Italia per la qualità delle cure sanitarie. Tuttavia, questi modelli funzionano in con- testi con economie relativamente solide e amministrazioni efficienti: compito dello Stato centrale è rendere sempre più efficiente la spesa pubblica (anche iniziando finalmente a valutare gli effetti socio-economici delle politiche pubbliche) e agire affinché siano garantiti servizi di qualità anche nelle regioni più fragili, senza generare ulteriori squilibri territoriali.

 

La società in cui vivremo

L’universalismo delle prestazioni è radicato nella nostra Costituzione ma si pone il tema di quanto renderlo selettivo. Se vogliamo mantenere un sistema di protezione sociale accessibile a tutti, servono anche nuove forme di finanziamento privato. La compartecipazione per le famiglie più abbienti, l’incentivazione all’accesso a forme assicurative nel settore previdenziale, sanitario e sociale, nonché la mobilitazione attraverso il welfare aziendale delle risorse presenti nelle imprese, rappresenta una via obbligata per alleggerire il peso del welfare sui bilanci statali senza compromettere i servizi essenziali. L’Italia e l’Europa sono di fronte a un bivio: continuare a difendere un modello sociale che rischia di implodere o riformarlo per renderlo sostenibile. Le scelte che verranno fatte nei prossimi anni non definiranno solo il futuro del welfare, ma il tipo di società in cui vivremo.