“Scuole per ricchi! È il mercato, bellezza”. “Un emendamento che punta a dividere”. Questi alcuni dei titoli o dei commenti letti e sentiti nelle ultime settimane dopo la presentazione di una proposta a mia firma per la creazione di un buono scuola nazionale. Esiste anche un’altra verità.
Ho iniziato a fare politica da ragazzo battendomi per la libertà di educazione. Erano gli anni nei quali infiammava il dibattito su quella che sarebbe poi diventata la riforma Berlinguer del 2000 in materia di parità scolastica. Ricordo benissimo le lunghe discussioni con i compagni di scuola e negli organi di rappresentanza per affermare la necessità di una legge che desse piena applicazione alla Costituzione. Volantini, raccolte firme, manifestazioni con migliaia di giovani e famiglie che marciavano al grido di «fateci andare in giro nudi, ma lasciateci liberi di educare». La Costituzione infatti parla chiaro: «È diritto e dovere dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli» (articolo 30). Poco più di dieci semplici parole, che riconoscono il diritto delle famiglie di scegliere quale scuola possa essere il luogo migliore per trasmettere ai figli i valori morali e le inclinazioni culturali nelle quali si riconoscono.
Realtà tutt’altro che “private”
Ad oggi gli istituti paritari, di ogni ordine e grado, sono 12 mila, accogliendo 815 mila studenti (di cui 4 mila disabili) e impiegando 200 mila lavoratori tra personale docente e amministrativo. Se scomparissero dall’oggi al domani, allo Stato costerebbe 6 miliardi pareggiare l’offerta di istruzione. Altro che «senza oneri per lo Stato» dell’articolo 33 della Costituzione, su cui i detrattori della scuola paritaria attaccano da 40 anni. Qui lo Stato risparmia eccome! Tra l’altro, se ci si prende la briga di leggere i resoconti dell’Assemblea costituente, era chiara l’intenzione che lo Stato non potesse finanziare l’istituzione di scuole paritarie, mentre era assolutamente contemplato il sostegno nel loro funzionamento.
Si tratta infatti di scuole nate spesso in forma cooperativa da piccoli gruppi di famiglie, che negli anni sono cresciute anche grazie al volontariato dei genitori e che rappresentano oggi una straordinaria eccellenza educativa in molti territori. Oppure scuole sorte da ordini religiosi, che nel tempo hanno saputo coinvolgere laici per non disperdere il loro carisma educativo. Le scuole paritarie hanno così risposto al bisogno di spirito critico e di nuovi metodi di istruzione che la scuola statale non riusciva più a esprimere, imbrigliata nelle sovrastrutture ideologiche del post ’68 e in balìa dei sindacati divenuti negli anni il vero blocco alla crescita e all’innovazione dell’istruzione italiana. Hanno anche assolto alla richiesta crescente per alcune fasce educative come gli asili, accompagnando il cambiamento della nostra società che registrava tassi crescenti di occupazione femminile e l’indebolimento delle relazioni tra generazioni. Negli ultimi vent’anni hanno inoltre preso piede le scuole private non parificate, anche in forma parentale, segnando il bisogno delle famiglie di una maggiore autonomia rispetto a uno Stato che guarda alla scuola ancora con gli occhi del Novecento.
Una svolta culturale
L’istruzione sta poi diventando un ambito di investimento da parte della finanza. Anche in Italia esistono fondi che allocano risorse in enti o imprese sociali che gestiscono importanti istituti scolastici, contribuendo a farle crescere soprattutto dal punto di vista strutturale e tecnologico. Oggi le paritarie sono all’avanguardia anche per quanto riguarda la sperimentazione di nuovi indirizzi scolastici, soprattutto nella formazione professionale. Il mercato del lavoro cambia rapidamente ed è sempre più forte la richiesta di diplomati con specifiche competenze tecniche. Una domanda che spesso non trova adeguata risposta nell’offerta statale, mentre riscontra flessibilità e capacità di interazione con il mondo produttivo da parte delle scuole paritarie.
Le paritarie svolgono pertanto un ruolo determinante nella funzione pubblica di alimentare quel senso di appartenenza alla comunità nazionale di cui le nuove generazioni hanno un gran bisogno. Per tutte queste ragioni, si sta discutendo in legge di bilancio la possibilità di adottare un buono scuola nazionale, perché la parità scolastica non resti lettera morta –fuorché in alcune regioni come Lombardia e Veneto, dove è stato introdotto un buono scuola regionale. Sarebbe una norma con un valore culturale fortissimo, capace di affermare quel principio di libertà educativa che mi fece compiere i primi passi di un impegno pubblico che continua ancora dopo 25 anni.