Mi capita di riflettere sull’Intelligenza artificiale quasi ogni giorno. Non c’è convegno nel quale non manchi la fatidica domanda su come l’AI modellerà il nostro futuro. Essa ci affascina e, al tempo stesso, ci spaventa. Sappiamo di essere all’inizio di una nuova era, nella quale la velocità dell’innovazione tecnologica tende a far coincidere il presente con il futuro. E senza presente perdiamo certezze. Molte sono le opportunità che abbiamo di fronte ma, per coglierle, abbiamo bisogno di guardare anche alle minacce, o quantomeno alle incognite che rimangono sul tavolo. In fondo, la domanda sottesa alle mille altre che si affastellano nelle nostre menti è una sola: saremo più o meno liberi? Ci viene in soccorso un frate romano, dal doppio ordine (è sia francescano che ingegnere), che siede – unico tra gli italiani – nella commissione dell’Onu sull’AI. Padre Paolo Benanti ci offre nel suo ultimo libro La caduta di Babele una prospettiva originale, che intreccia etica, fede e una profonda comprensione tecnica.
La realtà, per la come l’abbiamo conosciuta dagli albori dell’umanità, sembra svanire. Una realtà che ha perso la sua dimensione fisica e che non ci è più direttamente accessibile ma dipende ed è mediata dal software che la governa. Tanto che si parla di software defined reality. Gli effetti su alcuni diritti come quello di proprietà sono radicali. Pen- siamo alle automobili di nuova generazione o a uno smartphone. Sono oggetti che possediamo ma il cui impiego è condizionato alla licenza di utilizzo di un software che non è nostro. I tre diritti fondamentali correlati a quello di proprietà – usus, abusus e fructus – non sono più del tutto garantiti. Posso lanciare dalla finestra il mio smartphone, ma non posso mettere a rendita ciò che mi appartiene perché sull’utilizzo dei miei dati sono altri che lucrano, secondo la famosa massima che “se non stai pagando per un prodotto, allora il prodotto sei tu”. Se trasliamo tutto ciò ai servizi pubblici come la sanità o i trasporti che sono abilitati da software privati, capiamo bene quali rischi possiamo correre.
Al tempo stesso, l’AI riesce a imitare il naturale così alla perfezione che ci chiediamo che ne sia del nostro diritto di sapere se abbiamo di fronte a me una fotografia, una voce o un oggetto reale o sintetico. È un punto dirimente anche a livello istituzionale, in quanto il patto sociale che regge le democrazie poggia sulla libertà dei cittadini di fondare le proprie scelte su fatti reali. Se inizialmente lo smartphone era visto come un alleato dei movimenti democratici, l’emergere di fake news nell’informazione attraverso l’AI ha invertito la percezione. L’Italia potrebbe essere il primo paese al mondo, grazie alla Commissione per l’AI della quale Benanti è presidente, a introdurre una responsabilità editoriale per piattaforme digitali, equiparata, in termini di curatela dei contenuti, a quella degli editori tradizionali.
L’AI si sviluppa grazie a una potenza computazionale sempre maggiore, non più residente in server locali ma centra- lizzati nel cloud. Il problema è che il 70 per cento dei server dove è custodito il cloud è di proprietà di 2 società di Seattle e il 100 per cento di 5 compagnie al mon- do. Un potere enorme nelle mani di pochi. Si pone quindi un tema di sovranità digitale e dell’effettiva capacità degli Stati di governare lo spazio digitale. Si prevede che le future guerre si eserciteranno anche attraverso un massiccio uso dell’AI.
Il mondo del lavoro
L’AI avrà un impatto sul mondo del lavoro: alcune professioni scompariranno e altre si svilupperanno. E questo avverrà in modo forse controintuitivo, come ci insegna il paradosso di Moravek: è più facile, per le macchine, svolgere compiti cognitivi elevati e complessi, che ben si prestano alla potenza degli algoritmi, che mansioni manuali e di base. È quindi necessario ripensare i processi di apprendimento, che non devono più portare a una conoscenza “drop and forget”, ma spingere a un processo di riqualificazione e aggiornamento delle competenze indispensabile per affrontare le trasformazioni del mercato del lavoro. E, forse, troveremo un alleato inatteso proprio nell’intelligenza artificiale, capace di integrare questi nuovi processi di apprendimento. D’altronde, l’AI è ormai una rivoluzione in atto: come viverla e governarla dipenderà da tutti noi.