Bruxelles deve scegliere se ascoltare le preoccupazioni che emergono dalla società rispetto a certe derive ideologiche su ambiente e diritti, così come rispetto a immigrazione e sviluppo.
Le recenti elezioni europee hanno offerto uno scenario almeno in parte inedito rispetto a quelli che hanno caratterizzato gli ultimi vent’anni. Se è vero che l’intesa tra popolari e socialisti ha tenuto ed è rimasta l’asse portante della nascente Commissione, è altrettanto evidente come diversi elementi, non certo ancillari, siano cambiati. Il Partito popolare europeo, sopravvissuto all’epoca Merkel, guadagna 13 seggi confermandosi prima formazione politica in 16 dei 27 Stati membri, con risultati di rilievo in Germania, Spagna e Polonia. Il Partito socialista europeo perde invece 3 seggi, restando comunque forte in Italia, Spagna e Romania. La vera novità riguarda i partiti alla sinistra e alla destra dell’alleanza tra popolari e socialisti. A sinistra, i verdi perdono 18 europarlamentari e i liberali addirittura 28. Per contro, a destra si registra un incremento dei conservatori, che diventano il terzo gruppo in Parlamento con 83 seggi (+14), e un buon risultato per le forze legate a Identità e Democrazia (58 membri, +9). Il primo dato politico è quindi lo slittamento verso destra del baricentro del Parlamento europeo, con una chiara inversione di tendenza rispetto ai tradizionali equilibri.
Riscrivere l’agenda comunitaria
Le pagine dei giornali in queste settimane sono state inondate di retroscena sulle negoziazioni tra i leader su chi avrebbe ricoperto i cosiddetti top jobs, cioè il presidente dell’Unione Europea, il presidente del Parlamento europeo, il presidente della Commissione europea e l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza. Soprattutto chi ha perso le elezioni come Macron e Scholz ha provato a difendere lo status quo e poco o nulla si è parlato di quale dovesse essere l’agenda comunitaria alla luce del voto popolare. I cittadini europei hanno infatti mandato alcuni messaggi molto chiari.
Innanzitutto, è esplosa l’insoddisfazione verso le politiche green e in tema di diritti civili. Ciò che le istituzioni comunitarie ci hanno propinato come il vangelo su cui sarebbe nata una nuova civiltà, ha trovato nel voto popolare quell’argine necessario per evitare derive ancora più gravi. I sacerdoti del politicamente corretto dovranno pertanto attenuare le loro richieste e il buon senso potrà tornare a essere il criterio cui ispirare le politiche pubbliche.
Al tempo stesso – e al netto della pace che rimane la vera priorità dei prossimi anni – sono emersi con forza nuovi bisogni. Ne sottolineo due. A prescindere dallo Stato di appartenenza, la gestione dei flussi migratori e dei percorsi di inclusione dei migranti sono un ambito su cui i cittadini si aspettano risposte concrete e soprattutto coordinate a livello comunitario. Sia sul fronte mediterraneo che su quello orientale, ma anche nei paesi con una più matura presenza di popolazione straniera, si guarda all’Unione Europea per esercitare comuni politiche di controllo dei confini esterni, di condivisione solidale dell’accoglienza dei migranti, nonché strategie diplomatiche e di cooperazione allo sviluppo con i paesi di partenza. Per queste ragioni, il Piano Mattei messo in atto dal governo Meloni potrebbe divenire a pieno titolo un piano europeo.
Una strategia per la crescita
Una seconda domanda che si legge nel dato elettorale concerne il lavoro, lo sviluppo e la protezione sociale. Gli anni del Covid hanno messo a dura prova il nostro sistema economico. Viviamo ora una nuova fase espansiva, ma il ceto medio si è parecchio impoverito mentre la ricchezza si è polarizzata. Gli Stati membri hanno messo in campo una serie di misure finanziate dall’Unione ma l’impressione è che sia necessaria una chiara strategia europea di crescita. Quale sarà il modello di sviluppo su cui far prosperare il nostro continente? Quale nuovo equilibrio trovare tra Stato, mercato e privato sociale? Su quali filiere puntare e come promuovere l’integrazione industriale tra aziende di diversi Stati europei? Sono questioni urgenti alle quali la nuova Commissione dovrà dare risposta.
L’Unione Europea è quindi di fronte a un bivio, innanzitutto nel rapporto con il popolo europeo. Deve scegliere se dare ascolto alle preoccupazioni e alle aspirazioni che emergono dalla nostra società o se chiudersi nuovamente in schemi ideologici che hanno soprattutto mortificato le speranze che molti avevano verso essa. Scegliere la giusta agenda politica e metterla in campo nel rispetto del mandato popolare costituisce la chiave di volta perché il sogno europeo trovi il giusto rilancio che merita.
Articolo apparso sulla rivista Tempi di Luglio 2024