L’alleanza che è oggi al governo non esisterebbe senza il leader di Forza Italia. Non è appena questione di numeri, ma dell’identità che abbiamo
Con la morte di Silvio Berlusconi si è aperta la Terza Repubblica. Berlusconi è stato un leader “totale”, per cui la sua parabola politica si è esaurita solo con la sua uscita di scena dalla vita terrena. La vittoria di Giorgia Meloni alle ultime elezioni politiche e l’affermazione del primo governo di centrodestra non guidato dal Cavaliere non hanno che rappresentato un prologo a questo passaggio epocale. L’abbrivio di una nuova fase politica – e non solo politica, considerando l’ampiezza del contributo di Berlusconi alla vita civile – richiede una riflessione sull’eredità ricevuta. Gli storici si dedicheranno nei prossimi anni a un’analisi accurata del berlusconismo, comprendendo meriti e decadimenti, ma già oggi ne emergono alcuni elementi di valore che vanno salvati nella costruzione delle fondamenta del nuovo assetto politico-istituzionale.
Berlusconi ha incarnato un esempio di moderno leader popolare. A partire dalle proprie origini: figlio dell’Italia del Dopoguerra e del boom economico, ha saputo costruire una carriera solida in tutti i settori nei quali si è messo in gioco. Una mentalità del “fare” che ha spaziato dall’edilizia allo sport, dal mondo della comunicazione alla politica, mantenendo come comun denominatore la determinazione e la capacità di anticipare il futuro. La sua entrata in politica ha rappresentato un momento di rottura rispetto al passato “politichese” della Prima Repubblica: con Berlusconi la politica accorciava la distanza dalla gente comune, parlando il suo linguaggio e il suo desiderio di contare. Testardamente, il presidente di Forza Italia ha resistito a ogni attacco mediatico e giudiziario, dimostrando che era possibile fare politica anche per una parte del popolo italiano che, dopo l’“assassinio politico” della Democrazia cristiana e del Partito socialista e la persistente conventio ad excludendum verso chi proveniva dalla storia del Movimento sociale, sembrava condannato all’oblio.
È stato proprio questo suo intimo legame alla cultura popolare che lo ha reso capace di interpretare dapprima il malcontento delle persone e poi di saper volgere a proprio vantaggio il loro appoggio. Contrariamente alle élite che volevano governare il popolo tramite le articolazioni dello Stato, in un’ottica dirigista e centralizzata, Berlusconi ha saputo rappresentare le caratteristiche degli italiani: legame con il territorio, naturale propensione alle relazioni e alla solidarietà, profonda dimensione religiosa e capacità di iniziativa. Come ha detto Lorenzo Pregliasco, a differenza di molti leader Berlusconi non ha cercato di cambiare gli italiani. A lui piacevano così come erano.
Berlusconi è stato poi il punto di riferimento nazionale ed europeo della famiglia del Partito popolare. José Maria Aznar, in una bella intervista al Corriere, ha ricordato che il Ppe era un rispettabile, piccolo club democristiano in esaurimento quando lui, Berlusconi e Jacques Chirac vi sono entrati portando l’aria fresca della cultura liberale e conservatrice. Berlusconi, liberale in economia e socialista in politica, è stato infatti capace di sintetizzare il pensiero pro-mercato con l’idea di uno Stato sovrano forte anche all’estero. Una politica estera che, fondata saldamente su atlantismo ed europeismo, è stata facilitata anche dalla sua naturale capacità di rapporto personale con i più alti e disparati capi politici. Eppure fuori dall’Italia Berlusconi non è mai stato compreso fino in fondo, forse proprio per il suo stretto legame con la cultura popolare italiana. È stato troppe volte bistrattato e dileggiato e, in fondo, tale atteggiamento si rivolgeva non solo a lui ma contro tutti noi.
Una vita amata intensamente
L’eredità politica di Berlusconi, come ha ricordato Lorenzo Castellani, è innanzitutto un blocco sociale fatto di partite Iva, piccoli e medi imprenditori, forze dell’ordine, lavoratori del privato, pensionati. Questi segmenti sociali hanno attraversato insieme l’epoca dell’ottimismo liberale e del globalismo, poi dell’euroscetticismo, del rallentamento della globalizzazione, infine del ritorno della centralità delle nazioni. Il centrodestra che oggi è al governo non esisterebbe senza Berlusconi, non solo per i numeri parlamentari ma per il suo contributo a ciò che siamo.
A Dio, Silvio. Come ha ricordato monsignor Delpini durante l’omelia dei funerali, «vivere e intendere la vita come una occasione per mettere a frutto i talenti ricevuti. Vivere e accettare le sfide della vita», questo è stato Silvio Berlusconi, un uomo che ha vissuto la vita con l’intensità di chi la ama perché ne vede un destino buono.
Articolo pubblicato sulla rivista Tempi di Luglio 2023