Va ripensata l’accoglienza. Apprendimento della lingua italiana, possibilità di lavoro, libertà religiosa, comunità locali integrate e vivaci, reti tra famiglie possono essere le strade
Il Mediterraneo è ancora un prolungamento del lago di Tiberiade? Quella zona di mondo, per dirla con La Pira, culla di diverse culture e capace di far sviluppare nuove collaborazioni tra i paesi che la abitano? Frasi che suonano quasi come un ossimoro se accostate alle recenti tragedie che vedono proprio il Mediterraneo come tetro protagonista. I fatti di Cutro lasceranno una profonda ferita nella nostra coscienza collettiva, al pari di quando nell’ottobre 2013 le acque di Lampedusa videro emergere le salme di 368 migranti naufragati. Il fenomeno migratorio torna nell’agenda delle priorità pubbliche dopo la lunga parentesi pandemica che ne aveva rallentato l’intensità e ci chiede decisioni strategiche per garantire ai popoli africani innanzitutto il diritto a non partire, come richiamato recentemente da papa Francesco.
A dodici anni dalle cosiddette primavere arabe è giunto il tempo per avanzare un giudizio sui loro effetti, considerando il nesso di causa che esse hanno avuto e hanno con i fenomeni migratori caratterizzanti l’epoca recente. Stati Uniti e Unione Europea, allora, decisero di recidere i legami geopolitici con l’Africa, abbandonandola alle instabilità interne e lasciando campo aperto per l’allargamento della sfera di influenza cinese (e russa). Oggi, in Tunisia migliaia di persone decidono di intraprendere un viaggio disperato di fronte alla deriva autoritaria del governo Saied e alla terribile crisi economica che fa mancare molti beni di prima necessità e ha ridotto in povertà 4 milioni di persone. Le coste libiche rimangono il principale punto di partenza dei migranti africani a causa della persistente instabilità, risalente alla caduta di Gheddafi. L’Etiopia è dilaniata da una guerra intestina tra forze governative e ribelli del Tigray che ha causato una gravissima emergenza umanitaria.
Un approccio non neocolonialista
Proprio per i fallimenti di Obama e di Sarkozy, si capisce quanto sia strategica la scelta di Giorgia Meloni di varare un nuovo piano di ingaggio con l’Africa intitolato a Enrico Mattei. Il lancio di una visione che tenga insieme diplomazia economica, cooperazione internazionale e institutional building, evidenzia come l’Italia sia tra i pochi paesi europei a considerare prioritarie le relazioni con l’Africa, mantenendo al contempo un approccio lontano da ogni deriva neocolonialista.
All’indecisione geopolitica americana ed europea si somma poi il fallimento delle politiche di gestione dei flussi migratori, e con esse dell’intero sistema di Dublino. Un sistema che non garantisce alle nazioni maggiormente interessate dal flusso migratorio una forma di tutela nella redistribuzione dei migranti e una vera condivisione tra gli Stati membri.
Come in una lunga sequenza del Dna, il tema migratorio va affrontato nella sua interezza e nelle sue diverse sfaccettature. Una ulteriore – dopo quelle geopolitiche e di gestione dei flussi – è quella securitaria. Il recente Consiglio dei ministri tenutosi a Cutro ha inasprito la posizione italiana sulle tratte migratorie irregolari. Il ripristino del decreto flussi, pene più severe per gli scafisti e procedure snellite per l’ingresso legale sono i punti cardine della reazione decisa del governo.
Saper ricevere e trasmettere
Infine, per quanti hanno il diritto di partire, per quanti arrivano in Italia, il grande punto da considerare, come ha sottolineato Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, è l’accoglienza. Siamo eredi della cultura romana e cristiana che ha fatto dell’accoglienza la spina dorsale della propria proposta al mondo. Per Rémi Brague, romanità (culturale e religiosa) significa “secondarietà culturale”, ossia attitudine del saper ricevere e trasmettere, del trovare ciò che è proprio soltanto attraverso ciò che è altro, straniero. Per rendere possibile ancora oggi l’Europa cattolica (non confessionale, bensì universale), occorre ripensare l’accoglienza. Apprendimento dell’italiano, possibilità di lavoro, libertà religiosa, comunità locali integrate e vivaci, reti tra famiglie possono essere le strade per approcciare nuovamente l’immigrazione, il tema dei prossimi anni (e delle prossime elezioni).
«Le istituzioni sopranazionali sarebbero insufficienti e rischierebbero di diventare una palestra di competizioni di interessi particolari, se gli uomini ad esse preposti non si sentissero mandatari di interessi superiori ed europei», disse Alcide De Gasperi ricevendo il premio Carlo Magno nel 1952, e l’Europa tutto può permettersi tranne che di rimanere una “vuota astrazione”. E solo così il Mediterraneo potrà tornare ad essere la prosecuzione del lago di Tiberiade.
Articolo pubblicato sulla rivista Tempi di Aprile 2023