Il bene comune non è frutto di decisioni dei legislatori, ma viene prima. Si manifesta nella vita del popolo, emerge nell’esistenza di persone, famiglie, imprese, corpi intermedi.
La categoria politica più abusata nella sfera pubblica è forse quella del bene comune. Ad esso si appella un politico quando deve tratteggiare una visione alta del proprio agire e, allo stesso modo, quando dall’opinione pubblica si levano critiche alla classe politica si fa riferimento alla sua incapacità di servirlo. Eppure, che cosa sia veramente il bene comune rimane alquanto indefinito.
La politica è chiamata a servire il bene comune e a esercitare le leve di potere che ha nelle mani perché esso si affermi nelle dinamiche della Storia. È certo come il bene comune non possa essere la semplice sommatoria dei tanti interessi particolari che animano la nostra società. La politica verrebbe meno al suo compito decisorio e vivremmo in un’anarchia nella quale prevarrebbe la legge dell’interesse più forte. Parimenti, il bene comune non può risultare dalla media delle istanze che si levano dal popolo: in questo caso la virtù non sta nel mezzo e la politica finirebbe per scontentare tutti, perdendo la sua capacità di visione sul lungo periodo.
Mi interrogo sul significato più profondo del bene comune da più di vent’anni, dai primi passi che ho mosso nella rappresentanza studentesca. Chi serve le istituzioni non può eludere questa domanda. Il Compendio della Chiesa cattolica al punto 164 definisce il bene comune come «la dimensione sociale e comunitaria del bene morale». Ecco allora una prima pista da seguire: il bene comune trae la sua origine da un bene ad esso superiore, che ha a che fare con la morale, cioè con la verità. Si tratta, pertanto, della rappresentazione storica di una dimensione ontologica. Qui la cosa si fa impegnativa, perché è chiaro come il bene comune non può essere che un’approssimazione di qualcosa che va oltre il tempo e lo spazio. Richiede l’umiltà di mettersi alla ricerca della verità dell’uomo e il coraggio di fare scelte non scontate, che guardino alle “prossime generazioni” come diceva De Gasperi. Il bene comune è, in tal senso, una categoria talmente profonda che richiede la costanza di una vita per andare a scoprirlo.
È importante sottolineare come il bene comune non sia frutto della decisione politica, tentazione ideologica che da sempre e per sempre riguarderà i legislatori, ma è qualcosa che viene prima, che va riconosciuto e sostenuto. Il bene comune trova il suo spazio naturale nella dimensione popolare. Si manifesta nella Storia dentro la vita del popolo, emerge e prende forma nell’esistenza delle persone, delle famiglie, delle imprese e dei corpi intermedi. Il bene comune ha una naturale dimensione relazionale, è possibile solo se ciascuna persona riconosce il legame inscindibile tra il proprio destino e quello degli altri. Per non essere però generici o retorici e rischiare, a nostra volta, di uscire dalla Storia, è necessario dettagliare alcuni aspetti della vita del popolo. Innanzitutto, si sviluppa in un preciso territorio e poggia su una determinata cultura. Patria e tradizione assumono quindi una nuova connotazione sotto la luce del bene comune. Non si può prescindere da esse nella considerazione del bene comune, proprio perché sono due elementi costitutivi della vita sociale. Servire il bene comune significa anche tutelare la nazione e promuoverne la cultura prevalente. Il cosmopolita e il relativista non sanno cosa sia il bene comune, anzi si riempiono la bocca di esso per giustificare interessi di parte, fanno prevalere gli interessi di altri attori della Storia che non siano il popolo, come il mercato o le moderne ideologie culturali.
Il vero cuore della Costituzione
Un altro aspetto necessario a dettagliare il bene comune è la centralità della persona e dei corpi sociali. La dignità della persona è il tribunale ultimo per ogni azione politica, e la sussidiarietà è il principale criterio di organizzazione della società: senza questi due princìpi è inevitabile cadere in terribili storture illiberali.
Quest’anno celebriamo i 75 anni di entrata in vigore della Costituzione e vorrei richiamare l’articolo che credo sia il vero cuore della nostra Carta. Non si tratta del primo articolo bensì del secondo: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». È un dettato figlio del personalismo, dal quale il resto della Costituzione prende forma e sostanza. I padri costituenti avevano chiaro che cosa fosse il bene comune e ci hanno trasmesso questa coscienza anche scrivendo questo articolo. A noi il compito di non trascurare questa eredità.
Articolo pubblicato sulla rivista Tempi di Ottobre 2023