Non solo Terra Santa: si gioca l’equilibrio del mondo. E l’Europa sta a guardare

6 Nov 2023 | Esteri, Politica

Ucraina, Nagorno-Karabakh, Israele non sono conflitti scollegati: c’è una traiettoria comune nel disordine del post-unilateralismo americano. Bruxelles deve ritrovare il suo ruolo.

Il Mediterraneo è sempre stato il luogo nel quale si sono definiti, nel bene e nel male, i destini dell’umanità. È stato culla delle grandi civiltà e campo di battaglia tra popoli, religioni e culture. Il suo carico di storia trascende la geografia e la politica e invade lo spazio delle idee. L’Italia, con comprensibile orgoglio, si è sempre definita al suo centro ma credo che la sua origine sia da cercare altrove, più esattamente in Terra Santa. La Pira parlava del Mediterraneo come della prosecuzione del lago di Tiberiade e ancora oggi, in un’epoca globalizzata e multipolare, la capitale del mondo rimane Gerusalemme.

È per questo che quella del 7 ottobre 2023 sarà una data che ricorderemo a lungo e che segnerà il futuro non solo della Palestina e dello Stato di Israele o dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo ma dell’Occidente intero. Già in passato si era rotto quel fragile equilibrio che ha permesso periodi di pace più o meno lunghi tra palestinesi e israeliani. Con fatica la politica aveva fatto il suo dovere di mediazione e le ferite nel tempo si erano rimarginate. Ma la sutura si è rivelata essere solo superficiale e, sotto la pelle, i tessuti sono rimasti recisi e i vasi capillari hanno continuato a sanguinare fino a riaprire squarci di odio e guerra.

L’Occidente ha da subito manifestato la propria solidarietà e vicinanza a Israele, vittima di un devastante attacco che ne mette in discussione la sicurezza, non solo nell’immediato ma anche nella prospettiva di azioni emulative da parte di altre nazioni arabe, a partire dall’Iran. Ma cos’è Israele? Uno Stato, ma anche molto altro. Il suo ruolo negli equilibri globali va oltre gli indicatori demografici o economici. Da un lato, Israele è l’unica democrazia in quel quadrante del mondo, segno di libertà in mezzo a monarchie non sempre illuminate, teocrazie e dittature. Dall’altro, Israele è il segno visibile della presenza del popolo eletto, in particolare dopo l’Olocausto. La nostra difesa della sicurezza del popolo ebraico e della consistenza dello Stato di Israele è pertanto un elemento fondativo della nostra identità e dell’essenza del Mediterraneo.

Se la guerra in Ucraina rappresenta forse l’ultimo atto dello scontro tra Stati Uniti e Russia che ha segnato la seconda metà dello scorso secolo, il conflitto israelo-palestinese è lo specchio di una ostilità ben più antica, che travalica i confini di quella terra e precede gli accordi Sykes-Picot che nel 1916 hanno disciplinato per la prima volta le relazioni tra le popolazioni lì presenti. La dimensione religiosa rimane un aspetto ineludibile nella comprensione di quanto sta accadendo: dobbiamo guardare nel profondo delle grandi religioni monoteiste, della “triplice famiglia di Abramo” riprendendo sempre parole di La Pira. La pacifica convivenza delle popolazioni che abitano la Terra Santa è il punto di arrivo per mettere fine ad una sanguinosa disputa geografica, culturale e religiosa, le cui spese rischiano di ricadere anche sulla comunità cristiana presente nel territorio di Gaza. Possono ebrei, cristiani e musulmani convivere in quel lembo di terra? Gerusalemme può avere uno statuto internazionalizzato? Il popolo palestinese può vivere in condizioni di piena dignità? In questo conflitto si prova la tenuta sociale delle grandi religioni monoteiste. L’impostazione di spirito deve dar luogo ad una strategia politica di pace.

Non si può essere spettatori

Un ulteriore punto di osservazione – quello internazionale – va compreso. La “guerra a pezzi” preconizzata da papa Francesco è ora sotto gli occhi di tutti. UcrainaNagorno-Karabakh, Israele sembrano conflitti non collegabili per ragioni ed effetti immediati; eppure, trovano nel disordine del post-unilateralismo americano una traiettoria comune. Il mondo è alla ricerca di un nuovo equilibrio geopolitico. L’Europa assiste da spettatrice, non conscia della sua storia e dell’importanza del suo passato. Nelle grandi transizioni, la cifra non può essere l’indecisione e l’Europa deve riscoprire il proprio ruolo di collante tra Oriente e Occidente e tra Nord e Sud del mondo. La grande questione del Mediterraneo e della Terra Santa richiede visione e intrapresa, le famiglie politiche europee dovranno misurarsi anche su questo in vista delle prossime elezioni comunitarie.

Articolo pubblicato sulla rivista Tempi di Novembre 2023