Chiusa l’era Merkel, ai popolari farebbero bene ad aprirsi a un dialogo con i conservatori. Questo riporterebbe ordine nel gioco e chiarirebbe che esiste un’alternativa al mainstream progressista
Articolo pubblicato sulla rivista Tempi di Febbraio 2022
La recente elezione a larga maggioranza di Roberta Metsola, europarlamentare maltese militante nelle fila del Partito popolare europeo, ha riacceso l’antico dibattito sull’identità e il futuro dell’Unione Europea, alla luce del timore da parte del Partito socialista di ritrovarsi con un’impenitente conservatrice al vertice della massima istituzione di Bruxelles.
Diversi osservatori hanno letto in questa scelta del Ppe il tentativo di riaprire una collaborazione a destra (conservatori e Lega hanno votato per Metsola). Considerando premature queste letture – Antonio Tajani fu eletto presidente del Parlamento europeo addirittura senza l’apporto dei socialisti e questo non intaccò l’alleanza storica tra popolari e socialisti –, esse comunque sottolineano l’apprensione diffusa per una possibile nuova fase politica.
Il futuro dell’Unione è legato a doppio filo a quello del popolarismo europeo, è così fin dal Dopoguerra quando furono De Gasperi, Schuman e Adenauer a porre le basi delle istituzioni comunitarie. Nato come unione dei partiti cristiano-democratici dell’Europa continentale e mediterranea, la fondazione del Ppe data al 1976, dopo 30 anni di collaborazioni più o meno formali. Il popolarismo è stato per lungo tempo la famiglia politica maggioritaria in paesi chiave dell’Europa, come in Italia attraverso la Dc e in Germania con Cdu e Csu.
Il Ppe ha saputo poi leggere l’evoluzione politica e l’allargamento delle istituzioni comunitarie prima verso nord e poi verso est inglobando negli anni Ottanta e Novanta i partiti liberali, popolari e conservatori che non si rifacevano immediatamente all’identità cristiano-democratica, come ad esempio il Partido popular spagnolo, i centristi e i gaullisti francesi, o formando un gruppo parlamentare congiunto con i conservatori britannici e danesi dal 1999 al 2009. Questo ha permesso al Ppe di mantenersi baricentrico rispetto all’intero arco costituzionale europeo, e di identificarsi come il partito di riferimento del centrodestra, rappresentativo del ceto medio produttivo e intellettuale, in alternativa al blocco socialista. Su questa base anche le formazioni politiche italiane come Forza Italia hanno trovato una casa.
Qualcosa però negli ultimi quindici anni è cambiato. L’abbraccio mortale tra popolari e socialisti con cui Angela Merkel ha determinato la tenuta dell’Europa, in analogia con lo schema della Grosse Koalition tedesca, ha snaturato l’identità del Ppe contraendone anche la capacità di azione politica. In questa parabola il Ppe ha pagato un prezzo altissimo, rinnegando via via la vocazione popolare e cedendo al proceduralismo tecnicista e al mainstream culturale progressista. Il Ppe figlio dell’Europa dei popoli ha iniziato a credere all’Europa delle burocrazie.
Il prossimo maggio si terrà a Rotterdam il congresso del Ppe e sarà un passaggio decisivo e non scontato, considerando che è iniziata l’era post Merkel e in Germania si stanno consolidando nuovi equilibri, in Francia Valerie Pécresse, candidata dei Republicains, ha ottime chance di battere al primo turno la Le Pen e al secondo Macron, riportando i popolari a guidare l’esecutivo, in Spagna il Pp si prepara a vincere le prossime elezioni in una possibile alleanza con Vox e anche in Italia il centrodestra è dato in vantaggio in tutti i sondaggi.
I tre fronti caldi
Sarà interessante capire che posizionamento assumerà il Ppe, in particolare su tre fronti che segnano l’identità europea: i temi antropologici, quelli legati allo sviluppo economico e quelli di politica estera. Sarà in grado il Ppe di tornare a difendere la dignità della persona contro ogni deriva progressista, opponendosi alla cultura woke o alle visioni eutanasiche? Sarà capace di ridefinire i meccanismi di funzionamento dell’Unione oltre i vincoli, i parametri e le procedure, riponendo al centro la politica e il rapporto con i popoli europei? Riuscirà a intervenire sullo scacchiere globale come un player autonomo e compatto al suo interno?
Perché tutto questo possa avvenire, ritengo che sia necessario quanto meno allentare il legame strutturale di governo con i socialisti e aprirsi a un dialogo con chi sta alla destra del Ppe, soprattutto con i conservatori. Si tratta di una famiglia politica che ha collaborato strutturalmente con il Ppe, oggi orfana dei britannici e lusingata dai partiti di Identità e democrazia, ma saldamente all’interno delle istituzioni europee. Questa interlocuzione riporterebbe ordine nello schema di gioco, chiarendo che, seppur il governo comunitario si fonda sull’alleanza tra le parti, permane un’alternativa culturale (quindi politica) tra conservatori e progressisti.