Le politiche (distanti) del lavoro

2 Feb 2024 | Lavoro, Politica

Intervista di Giampiero Guadagni, Conquiste del Lavoro del 02/02/2024

Dal salario minimo all’assegno di inclusione: il Governo Meloni ha cambiato decisamente l’approccio alle misure di sostegno al reddito. Nel merito, quali sono i motivi di dissenso e di consenso rispetto a questa nuova impostazione?

Scotto. La destra, più che cambiare approccio, ha cambiato le carte in tavola: da un lato ha tolto il reddito di cittadinanza e colpevolizzato la povertà, dall’altro ha prima negato l’importanza dell’introduzione del salario minimo, poi, quando si è resa conto che la proposta trovava (e trova tuttora) consenso anche nel proprio elettorato, ha preso tempo utilizzando il Cnel fino ad affossare la nostra proposta introducendo una delega in bianco al Governo. Ne fanno le spese lavoratrici e lavoratori, penalizzati doppiamente, visto anche l’aumento dell’inflazione e del costo della vita. La destra ci racconta che tutto è disponibile, mentre quasi tutto sta diventando inaccessibile. Hanno elargito la tessera “de dicata a te”: una mancia condizionata. La serie imbarazzante di condoni che hanno predisposto sono un altro schiaffo a chi le tasse le paga fino all’ultimo centesimo: pensionati e lavoratori dipendenti. Sul salario minimo è intervenuta perfino la Cassazione che nella sentenza 27711/2023 ha stabilito che deve prima di tutto essere ”proporzionato alla quantità e qualità del suo lavoro” e sufficiente a permettersi una vita dignitosa, come recita la Costituzione all’articolo 36. La nostra proposta sul salario minimo ha sempre messo al centro il tema della contrattazione estendendo anche il valore erga omnes dei contratti collettivi comparativamente più rappresentativi. Mi spiace – e lo dico con rispetto per l’autonomia del sindacato che la Cisl non abbia valutato positivamente il senso autentico della nostra legge.

Malagola. Il nuovo approccio di sostegno al reddito introdotto dal governo Meloni risponde alla necessità di eliminazione dell’impostazione neo-statalista delle sinistre, introdotta con il reddito di cittadinanza. Contrariamente a quanto veniva fatto con il reddito targato cinque stelle, la proposta del nostro Governo vuole fermare la forma del sussidio a pioggia, preferendo concentrarsi su quelle fasce della popolazione che si trovano effettivamente in una condizione di netta emergenza e impossibilità. Dare il sussidio a chi ne ha diritto, togliendolo a chi non ne ha. Dobbiamo tornare a far crescere la platea di cittadini lavoratori, non di percettori di aiuti statali, d’altronde l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, non sui sussidi. Direi perciò che i motivi di dissenso ci abbiano portato a rivedere l’intero concetto di sussidio statale.

La Cisl ha presentato un disegno di legge di iniziativa popolare sulla “Partecipazione al lavoro” per dare piena attuazione all’articolo 46 della Costituzione. Qual è il suo giudizio?

Malagola. Sono molto soddisfatto della proposta della Cisl, ho seguito con grande attenzione la fase istruttoria per la raccolta delle firme necessarie a presentare il progetto di legge. Come segretario della Commissione Lavoro, ho molto a cuore il tema della partecipazione, tanto che ho sottoscritto la proposta di legge di iniziativa del capogruppo di Fratelli d’Italia Tommaso Foti, riguardante la disciplina della partecipazione dei lavoratori alla gestione e ai risulta d’impresa. Sarò relatore anche in Commissione del provvedimento. In questo modo tutto il partito sta dando un segnale molto chiaro di tutela del mondo del lavoro e dei lavoratori. L’attuazione piena del dettato costituzionale, previsto dall’art. 46, è una nostra priorità e lo stiamo dimostrando con i fatti, superando l’impostazione del mondo del lavoro tipica degli anni Settanta e passando da un’i dea di contrapposizione ad una collaborativa.

Scotto. La Cisl ha raccolto mezzo milione di firme: è giusto che il Parlamento discuta su questa proposta. Un principio che dovrebbe valere sempre. Ad esempio, penso che sia inaccettabile che la destra nella delega al Governo che ha cancellato il salario minimo abbia inserito il tema della partecipazione. È materia parlamentare, si parla dell’applica zione dell’articolo 46 della Costituzione, non si può gestire questa decisione da Palazzo Chigi. Mi auguro che sia la stessa Cisl a porre questo nodo con forza, innanzitutto per evitare che l’iniziativa di legge popolari venga nei fatti vanificata. Il tema della partecipazione dei lavoratori alla vita delle aziende anche in termini di codecisione è importante. La Germania ad esempio ha un modello duale che separa gestione da proprietà. In Commissione ho auspicato lo svolgimento di un ampio ciclo di audizioni che coinvolga le organizzazioni sindacali e datoriali, il mondo delle associazioni e i tanti soggetti interessati. Avanzeremo le nostre proposte: ci interessa usare questo passaggio per squarciare il velo sulla democrazia economica del nostro Paese, sui limiti del capitalismo familiare, sulla riforma del nostro modello di sviluppo. Questa sfida vaa accompagnata da una chiara scelta nella direzione dell’applicazione dell’artico lo 39 della Costituzione: una legge sulla rappresentanza che contribuisca a eliminare la piaga dei contratti pirata e la frammentazione del lavoro.

Per la crescita e lo sviluppo del Paese è forse arrivato il momento di costruire un nuovo Patto sociale tra Governo, sindacati e imprese. Lei cosa ne pensa? E semmai su quali basi?

Scotto. In un trentennio sono passati 11 punti di pil dai salari alle rendite e ai profitti. Molti ci hanno perso, pochi ci hanno guadagnato. Penso che in questo patto si debba coinvolgere anche il mondo della cultura perché la discussione che dobbiamo fare, specie nelle vicende drammatiche che la guerra e il cambiamento climatico stanno producendo, riguarda l’interesse generale e il futuro dell’Italia e dell’Europa. Dobbiamo liberarci dalla subalternità al neoliberismo degli ultimi 15-20 anni, riflettere sulla leva fiscale progressiva per finanziare il sistema pubblico. Altro che flat tax! Dovremmo definire politiche industriali in grado di rilanciare la produzione tenendo assolutamente conto della necessaria e improcrastinabile riconversione ecologica e la redistribuzione e la riduzione dell’orario di lavoro nel tempo dell’IA. Invece stiamo perdendo l’acciaio e si annuncia un programma di privatizzazioni che sanno di svendita.

Malagola. Ritengo che il governo Meloni si stia già muovendo in questa direzione, il premier ne ha sempre ribadito l’importanza. Le basi sulle quali poter consolidare questo corso possono trovarsi in: sviluppo e crescita salariale, attuazione del Pnrr, sanità e scuola, qualità e stabilità dell’occupazione, politiche sociali e sicurezza nei luoghi di lavoro. Su molti di questi punti siamo già a lavoro, sarà fondamentale l’interlocuzione tra Governo, sindacati ed imprese per trovare un punto di convergenza su queste tematiche.

La sicurezza sul lavoro resta purtroppo una delle emergenze del nostro Paese. Tanto che c’è l’ipotesi concreta di far entrare la materia nei programmi scolastici. Più in generale, quali sono gli interventi di prevenzione che ritiene urgenti e ineludibili?

Malagola. La sicurezza sul lavoro è una priorità per Fratelli d’Italia e per la maggioranza, infatti il dl lavoro approvato lo scorso anno dedica un’intera parte al tema. Ritengo che gli interventi più urgenti di prevenzione debbano essere finalizzati alla promozione della cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro a partire dal periodo scolastico. Sensibilizzare su questo tema sin dalla più giovane età è propedeutico per la formazione di uno spirito critico e di pensiero autonomo.

Scotto. La formazione è fondamentale. Ben venga l’introduzione della materia nei programmi scolastici. Purtroppo, la sicurezza sul lavoro è vista come un costo e si tende a risparmiare trascurando alcuni aspetti che poi si rivelano fatali. Si torna al punto di partenza: un lavoro ricattabile, sottopagato, in un mercato predatorio non è in grado di far valere i propri diritti. Chi denuncia rischia di fare la fine dell’e roe, ammirato ma licenziato. Bisogna dare nuova forza ai diritti del lavoro che negli ultimi anni, job acts docet, sono stati vilipesi. E bisogna cambiare la normativa sugli appalti: la riforma del codice voluta da Salvini con i subappalti a cascata è criminogena.

I dati sul mercato del lavoro sono da tempo positivi, ma presentano una evidente contraddizione: da una parte imprese che cercano e non trovano manodopera qualificata; dall’altra milioni di giovani che non lavorano, non studiano e non si formano. Come investire davvero sulle politiche attive?

Scotto. I dati sono drogati. Dicono che aumenta l’occupazione, ma parliamo di part time, di tempi determinati, di contratti a chiamata, di somministrazione. Insomma in questo aumento sbandierato aumenta solo lo sfruttamento, non il lavoro stabile, di qualità. Un conto è la formazione scolastica, che non può essere funzionale all’impresa, altro è l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Qui è necessario uno sforzo maggiore, una sinergia tra pubblico e privato che sia effettivamente funzionale. Politiche attive significa che tutto il sistema deve rimettersi in gioco: il lavoro deve tornare a contare.

Malagola. I dati Istat sul mercato del lavoro da quando si è insediato questo Esecutivo sono molto incoraggianti, segnano una netta crescita dell’occupazione. Investire nelle politiche attive, soprattutto per quelle rivolte ai giovani, è una necessità impellente. Parlare di giovani e di lavoro significa però parlare anche di educazione e formazione, mostrando particolare attenzione all’avviamento delle loro carriere professionali. Investire in attività di formazione propedeutica all’avviamento professionale e alla creazione di un profilo lavorativo è una delle vie percorribili per risanare la terribile piaga della disoccupazione giovanile e dello smarrimento delle nuove generazioni nell’approccio con il mondo del lavoro.